Gli ambiti di applicazione della collaborazione tra avvocato e consulente di parte riguardano il settore civile, il settore penale ma anche quello stragiudiziale.
Nel nostro ordinamento l’avvocato decide, dopo essersi confrontato con il cliente, se avvalersi dello specialista clinico. Nel diritto anglosassone, al contrario, la collaborazione tra legali e consulenti è una realtà consolidata grazie al sistema della giuria, per cui la composizione della stessa viene scelta da una selezione dell’accusa e della difesa, attraverso la collaborazione di consulenti che valutino l’esistenza di pregiudizi e convinzioni che possano condizionare il giudizio finale. Con questo contributo, e con la modalità stessa del nostro lavoro sinergico al CePsiT, intendiamo condividere come possa nascere una vincente collaborazione tra avvocati e consulenti.
Nell’ambito di un processo, la consulenza di parte è un elemento fondamentale ai fini della decisione del Giudice, soprattutto qualora contenga osservazioni precise e attendibili. La stessa Corte di Cassazione al tal proposito afferma che “quando i rilievi contenuti nella CTP sono precisi e circostanziali, tali da portare a conclusioni diverse da quelle contenute nella CTU ed adottate in sentenza, ove il Giudice trascuri di esaminarle analiticamente ricorre il vizio di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia” (Cass. 10.01.1995 n. 245). Il contributo della consulenza tecnica è molto importante sia per la difesa delle parti, sia per la ricostruzione della realtà processuale. La realizzazione del principio iudex peritus peritorum si realizza comunque, come insegna la dottrina processualistica, perché “le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio sono seguite dal giudice non per obbligo giuridico, ma solo se il giudice le ritiene convincenti. Se al giudice si portano argomenti sufficienti per convincerlo dell’erroneità delle conclusioni del c.t.u., il giudice non solo può, ma deve disattendere le risultanze del consulente tecnico che egli ha nominato”. Prendendo come esempio il contesto penale, che sappiamo bene essere un’area particolarmente delicata, il difensore può nominare un consulente tecnico di parte per affiancare il CTU nella valutazione della capacità di intendere e di volere dell’imputato o per analizzare situazioni di abuso sessuale di minori.
Oltre al consulente tecnico di parte, l’esperto clinico forense può essere d’aiuto all’avvocato mettendo a disposizione la propria conoscenza professionale. In sede extra processuale, infatti, l’intervento dell’esperto clinico forense si può sviluppare attraverso una collaborazione derivante dalla possibilità per il difensore di condurre indagini difensive e la relativa facoltà di assumere testimonianze, come previsto dagli artt. 391 bis del c.p.p. e dalla legge 397/2000 nell’ambito della disciplina delle investigazioni difensive. In particolare, attraverso una partecipazione senza la nomina di CTP, il professionista incaricato può redigere considerazioni tecnico-scientifiche per prevenire alla nomina di un Consulente Tecnico di Ufficio al fine di valutare le competenze genitoriali in caso di situazioni particolarmente complesse, conflittuali o caratterizzate da violenza intra moenia. Oppure, sempre in situazione extraperitale, può redigere una relazione specialistica nell’interesse di una persona: ad esempio l’impulso del professionista che collabora a fianco del legale può permettere una quantificazione del danno anche senza giungere alla CTU, qualora gli eventi risultino chiari e circostanziati.
Un’ulteriore ipotesi di collaborazione extra processuale tra avvocato e psicologo è rappresentata dalla possibilità dell’avvocato di consigliare alla parte un sostegno psicologico o psicoterapeutico, operato da un professionista che sia al di fuori del processo, al fine di affrontare il trauma vissuto e migliorare la tutela dell’assistito.
Il nostro approccio si muove sulle basi di un assunto fondamentale: una collaborazione altamente funzionale tra avvocato e CTP si costruisce in primis sulla condivisione intellettuale e umana di un grande tema etico che, sebbene già citato dalla deontologia, non è ancora stato sufficientemente assorbito in ambito forense; per noi si tratta dell’irrinunciabile posizione etica del professionista di fronte ad una causa. Etica non è intesa come semplice morale, ed è in piena contrapposizione al moralismo. Il sapere etico si traduce sulle riflessioni del professionista mantenendole in costante apertura e lontane dai pregiudizi; fa in modo che non si leghino a dogmatismi o polarizzazioni di pensiero, e non si fidelizzino alle teorie intendendole come verità assolute.
Per concludere, riassumendo, la nostra peculiare interazione come professioniste si basa sulla condivisione di un’ottica marcatamente etica e quanto più intellettualmente onesta possibile. Crediamo che il giudizio aprioristico e moralistico, l’etichettamento, la poca umanità e l’assenza di una strutturata capacità di comprendere ed empatizzare con la parte difesa, conduca inevitabilmente a dei vizi metodologici nel nostro lavoro.
Dott.ssa Annalisa Gordigiani, avvocato – Dott.ssa Mariapaola Tomasoni, psicologa, CTP